Canfora Luciano - 1983 - Storie di oligarchi by Canfora Luciano

Canfora Luciano - 1983 - Storie di oligarchi by Canfora Luciano

autore:Canfora Luciano [Canfora Luciano]
La lingua: ita
Format: epub, mobi
pubblicato: 2014-03-01T23:00:00+00:00


XI. La débàcle

Nell’ultima fase della guerra con Sparta si produce come un imbarbarimento congiunto ad una disperata ostinazione. Catturate due triremi avversarie, una di Corinto e l’altra di Andrò, gli Ateniesi avevano fatto tagliare la mano destra a tutti i marinai. Dopo Egospotami Lisandro fece gettare in un baratro tutti i marinai ateniesi prigionieri. A Samo, appena saputo della sconfitta ormai palesemente senza scampo, i democratici compiono un estremo, irragionevole, eccidio dei « signori ». E resisteranno ostinatamente per quasi sei mesi dopo la resa di Atene.

Se si considera che i celebri quattrocento spartiati presi prigionieri da Cleone nell'isola di Sfacteria erano stati gelosamente tenuti in vita e nel 421 erano stati per Atene la merce di scambio di una pace vantaggiosa quale la cosiddetta « pace di Nicia », si può misurare tutta la distanza che separa l’ancora ‘ tradizionale ’ prima fase della guerra dalla distruttiva carneficina senza esclusione di colpi con cui il conflitto peloponnesiaco veniva concludendosi. Ora davvero vincere significava sradicare l’avversario, an-nullarlo, non semplicemente infliggergli una sconfitta militare da ‘ codificarsi ’ attraverso un trattato di pace. È in questo clima - instaurato da Spartani e Siracusani, quando avevano derelitto l'intera ciurma ateniese a morire nelle latomie -, che dev’essere maturata in Tucidide la comprensione della natura « verissima » - come egli dice - della guerra: una guerra diversa da tutte le precedenti appunto perché mirante ormai all'estinzione di uno dei due storici rivali; così come deve aver ingenerato in Teramene la convinzione che, non potendosi vincere, la guerra bisognava perderla al più presto. Teramene puntava sulla ‘ moderazione ’ dei suoi amici Spartani, preferibile, comunque, allo spirito cieco di vendetta dei Corinzi o dei Tebani, i quali infatti, dopo la resa di Atene, avrebbero proposto, scontrandosi con l'opposizione degli Spartani, la distruzione non già delle sole mura ma dell'intera città. Ma piegare Atene non gli fu facile. Teramene conosceva troppo bene i meccanismi della democrazia assembleare, e del resto li aveva egli stesso all'occorrenza sfruttati, per illudersi di poter condurre « il popolo di Atene » ad una capitolazione concordata. Egli vedeva anzi che la disperazione conseguente al disastro di Egospotami si era risolta in cocciuta volontà di resistenza.

Quando in piena notte la nave Paralos era approdata al Pireo recando la notizia del disastro, un lungo lamento si era levato e si era propagato dal porto alla città, come una dolente striscia di suono « lungo le grandi mura, via via che l'uno riferiva all'altro l'accaduto ». « Quella notte nessuno dormì. Non commiseravano soltanto i morti, ma ancor più se stessi: pensavano che sarebbe toccata loro la stessa sorte che a suo tempo avevano inflitto agli abitanti di Melo, coloni di Sparta ». La presa di Melo era un momento altamente significativo del racconto tucidideo. A quell'episodio Tucidide aveva riservato un eccezionale rilievo, ed aveva addirittura immaginato un dialogo che si sarebbe svolto a porte chiuse tra Meli e Ateniesi, in cui proprio ai Meli in procinto di essere sterminati dagli invasori, toccava il compito di ' vedere ' in anticipo la fine di Atene.



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